Marco Davi – Perbacco
La svolta gourmet di Marco Davi ad Aprilia
Da Perbacco alla Contessa un mix di conoscenza, divertimento e passione: dentro la cornice a giorno di una villa nobiliare, la cucina è del mercato e la carta quotidiana.
Scritto il 27/10/2016Autore Di: Alessandra Meldolesibanner the tasty ways
L’atmosfera
è ancora quella di un tempo, quando la contessa Macchi Aline di Cellere, amazzone instancabile nonché vincitrice del concorso Roma, scendeva dalla sella per rimirare le colline di Aprilia dalla vetrata della sua villa anni ’40; le valigie sempre pronte per salire sul primo volo per New York in occasione di qualche evento mondano. Invariati sono rimasti gli ambienti, con l’eccezione della cucina ammodernata, i pavimenti e perfino le belle piastrelle dei bagni, le librerie e gli arredi fra i quali Marco Davi ha sparpagliato tavolini in legno e poltroncine in cuoio dall’effetto anticato. Per una sensazione di agio e casa.
Ed è stata la svolta gourmet per un cuoco atipico, gastronomo prima ancora che chef, rimasto a lungo in panchina per ragioni strettamente familiari e capace di reinventarsi oltre ogni convenienza, a sorpresa. “Il bar Davi esiste dal 1973: lo hanno fondato i miei genitori ad Aprilia e ci sono cresciuto dentro. Dopo l’alberghiero ad Anzio avrei voluto girare, ma ho dovuto assumermene la responsabilità e questo ha comportato un lungo stop nella mia formazione, durante il quale mi sono divertito ad ampliare l’offerta salata.
Finché a 28 anni non ho deciso di rimettermi in gioco e ho cominciato a girare, partendo dal mio chef di riferimento, Lucio Pompili, passando per Mauro Uliassi e la scuola del Gambero Rosso; ho lavorato come cuoco a Taormina, Vulcano, Venezia e Formentera, sempre con mia moglie Feliciana al fianco, che oggi è in sala. Ma tante cose le ho imparate da solo, con le ginocchia sotto le tavole più importanti del mondo, dai Paesi Baschi alla Francia, alla Scandinavia. E leggendo: nella mia biblioteca conservo centinaia di numeri delle più belle riviste e tantissimi libri di cucina”.
Al bar, ristrutturato nel 2013 con una cucina professionale, si sono così affiancati l’enoteca, aperta s
empre ad Aprilia nel 1998, con oltre 120 etichette, un fornello per i piatti veloci, un’offerta di salumi e formaggi, e il primo ristorante Perbacco, oggi in stand by per la partenza del nuovo indirizzo.
La location è suggestiva, con il suo cuscinetto di 40 ettari adibiti a maneggio, prossimamente b&b, banchettistica e trattoria di campagna, più altri 20 di bosco; mentre al piano superiore è previsto l’allestimento di suite che completino un bucolico resort a pochi chilometri da Roma
Con la complicità del proprietario Sandro Traccitto, Davi vi opera da meno di un anno, in continuità con il vecchio Perbacco e il bar: la sua è una cucina contemporanea di mercato, che nasce ogni mattina visitando di persona i banchi del contadino e del pescivendolo al Mercato delle Erbe di Aprilia, in cerca di prodotti locali e stagionali. Al bar si trasformano in una carta del pranzo composta da 3 primi, 3 secondi, 1 dolce e contorni vari, tutti espressi e segnalati su una lavagnetta al prezzo di 6-14 euro in stagione di tartufo; mentre nella villa della contessa le idee estemporanee sono testate intorno alle 18 con il secondo Omor Faruq prima di stampare il menu. Cosicché tutto viene lavorato da fresco e la linea è continuamente rifatta.
“È vero che questa zona non ha storia: Aprilia è stata bonificata nel 1937 e nel 1934 mio nonno era già sceso in bicicletta da Cittadella per mettersi all’opera. Non abbiamo appartenenze gastronomiche, se non le nostre tradizioni familiari,
venete nel mio caso; poi nel tempo si è sviluppata qualche tipicità, il coniglio di Lanuvio come il kiwi. Prodotti di cui non chiedo mai il prezzo, perché se mi piacciono, li compro. E quando decido di conoscerli, non mi ferma più nessuno. Prendiamo il pesce: ho iniziato ad andare all’asta, mi posizionavo vicino a un grossista che consideravo un connaisseur e qualsiasi cosa passasse, lo interrogavoho familiarizzato con l’astatore e gli Spadari siciliani, sono uscito in barca con i pescatori, ho approfondito le tecniche, il palangaro, la paranza, la lampara. Oppure la carne: per tre mesi ho
lavorato di pomeriggio nella macelleria di un amico, assistendo allo smontaggio e alla selezione dei pezzi La prima persona che mi ha fatto conoscere il vino nel 1984 è stato Sandro Sangiorgi al Fioretto di Latina, il ristorante di famiglia; ricordo che iniziò da un Grignolino. Poi nel 1994 sono rimasto folgorato da Gravner e ho approfondito la conoscenza dei vini ‘naturali’”. Il risultato è un menu degustazione flessibile da 8 portate ad appena 48 euro, compresi benvenuto e fraindises, accompagnato da una carta dei vini che conta 120 etichette sottoposte a veloce rotazione; il pane è Bonci, l’olio locale ma gentile, da cultivar itrana (frantoio Sergio Rossetti). I piatti sono irripetibili, ma sempre rappresentativi di un approccio coerente e solido: un concentrato di studio, passione e divertimento.
Per esempio l’involtino di calamaro, assottigliato con il batticarne fra due fogli di carta da forno, per una testura burrosa e una sensazione pseudograssa, poi avvolto crudo attorno a uno spicchio di melanzana cotta sottovuoto a 54 °C con aceto di Sherry, più una spolverata di amaranto croccante al posto del pane.
Oppure i gamberoni di Porto Santo Spirito, crudi e spennellati dell’estratto delle loro teste, ricavato in olio scaldato a 36 °C, più il macco di fave per le note tostate e il leggero amaro, il passion fruit per
l’acidità
E ancora, perché no, la tartare di marchigiana frollata per 65 giorni e battuta al coltello, servita con la cipolla sbollentata e passata in forno a 280 °C per 35 secondi, in modo da aprire e asciugare gli strati, la carota sbollentata e piastrata, la laccatura di fondo delle ossa. “Marchigiana in omaggio a Lucio;
frollata per un esperimento. Abbiamo messo da parte un pezzo e lo abbiamo assaggiato ogni 10 giorni, per verificare l’evoluzione. Abbiamo così constatato che dopo quel tempo la piacevolezza era al massimo per consistenza, grassezza e gusto deciso; ma l’esperimento prosegue” La linguina è cotta
nell’estratto di gambi e foglie di broccoletti, precoci quindi dolci, saltata con un fondo di aglio, olio e peperoncino e mantecata con altro estratto; viene servita con una foglia fritta di broccoletto e una spolverata di porchetta, ottenuta frullando la cotenna sgrassata ed essiccata in forno con pepe e finocchietto. Mentre i ravioli sono preparati con la pasta tutta tuorli, una farcia di ricotta romana La Quercia e pecorino di Pienza stagionato, tartufo nero uncinato, estratto di cicoria e crema di andorle. Per secondo può capitare il cuore, sgrassato e cotto sottovuoto per 3 ore a 56 °C, rosato come un roast-beef, condito con olio e aceto di Sherry, poi servito con cicoria sbollentata e pan brioche al prezzemolo. “Quinto quarto ma dolce, con l’amaro in contrasto”.
I dessert infine recano l’impronta di Marion Lichtle, pastry chef del Pagliaccio. “Qualche anno fa le ho chiesto di tenere qualche corso da me, poi nel 2012 le ho fatto da commis per 3 mesi, al fine di imparare. Cosicché ogni tanto teniamo cene a 4 mani, intervallando dolce e salato. Amo il suo stile, senza eccessi stucchevoli: più che dolci, i suoi sono piatti”. In questa stagione tocca alla purea di marroni sbollentati al naturale e alla ricotta lavorata a frusta sempre senza zucchero, entrambe
servit
a ciuffi con una purea di cachi al passion fruit per l’acidità e il tannino e una cialda di farina di castagne per il croccante.
Autrice: Alessandra Meldolesi
Intervista a Marco Davi
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Marco Davi, apprezzatissimo chef di grande raffinatezza e originalità, da anni alla guida dell’osteria PerBacco. Davi ha condiviso con noi alcune riflessioni molto interessanti sulla ristorazione di Aprilia, sull’attuale “stato dell’arte” della cucina in Italia, soffermandosi anche sulla storia del nostro territorio, che troppo spesso tendiamo inspiegabilmente a sottovalutareDa ristoratore credi ci siano nel territorio apriliano concrete potenzialità turistiche?
Come diceva un mio amico: la Nettunense e la Pontina potevano essere per Aprilia via Condott
e via Frattina. Non abbiamo sapute sfruttarle, soprattutto se pensiamo alla posizione geografica di Aprilia, alla sua vicinanza al mare, a Roma, Latina e ai Castelli Romani. La posizione strategicamente è importante. Di sicuro le amministrazioni che si sono succedute dagli anni Settanta in poi non hanno saputo valorizzare questo aspetto.
È una questione di realismo. Nel resto dell’Europa si investe molto su questo. Turisticamente ci sono delle potenzialità ad Aprilia che potrebbero, secondo me, essere sviluppate meglio.E la ristorazione di qualità ad Aprilia? È possibile e come andrebbe sviluppata
secondo te?È una questione culturale. Da quando mio padre nel 1973 ha avviato questa attività, abbiamo sempre considerato la qualità un fattore primario. Personalmente, sono stato uno dei più convinti fautori della creazione del mercato contadino di Aprilia: l’identificazione in un marchio territoriale è infatti molto importante per la qualità. E il mercato contadino sta crescendo
. È lì che io mi rifornisco ogni giorno, e allo stesso modo vado tutti i giorni all’asta del pese di Anzio, compro la carne da quello che ritengo il miglior rivenditore di Aprilia e così via.
Il rilancio gastronomico qui ad Aprilia è possibile e bisogna lavorare sul piano dell’educazione alimentare. Con la scuola di Montegrappa avevamo iniziato un progetto di educazione alimentare con Slowfood, purtroppo interrotto per mancanza di fondi. Era rivolto anche ai genitori, che partecipavano alle riunioni in cui si parlava di alimentazione.Un bambino oggi forse non sa nemmeno com’è fatta una gallina. I bambini sono abituati a vedere i polli e le galline cotti, o in macelleria. Su questo si dovrebbe lavorare molto per introdurre una cultura del “mangiare”.
Comunque, con il comune e l’assessore, stiamo lavorando su possibili iniziative.
Cosa puoi dirci sulla storia di PerBacco
Per Bacco nasce nel 1998 in via delle Margherite, unicamente come punto vendita di vini e con un piccolo angolo dedicato a prodotti agroalimentari di qualità. Dopodiché ci siamo trasferiti e allargati nei locali di Via Marconi e da lì è partito il progetto Per Bacco, molto improntato sulla qualità e sul territorio, che stiamo cercando di valorizzare. Perbacco ha proseguito poi con il rinnovo che abbiamo fatto al bar, aprendo una piccola cucina, che lavora tutti i gironi a pranzo. La nostra offerta ruota attorno a due primi, due secondi e tre contorni con prodotti freschi e ogni giorno diversi, sempre all’insegna della qualità.Pochi lo sanno ma il ristorante partecipa a manifestazioni di livello nazionale, tra le quali anche la rassegna promossa ogni anno dal grande che
Gennaro Esposito. Una festa importante in cui intervengono i 150 chef più importanti d’Italia: da sei anni presento un mio piatto. Insegno inoltre nelle scuole del Gambero Rosso. E in più continuo ad andare a convegni internazionali, anche solo come spettatore, per avere sempre una visione a 360 gradi su quello che succede nel mondo della ristorazione. Bisogna stare al passo con l’evoluzione delle nuove tecniche e di tutta la tecnologia che si utilizza in cucina. La difesa della tradizione non deve infatti restare separata dalla tecnologia e dall’innovazione. Da appassionato credo di aver visitato tutti i ristoranti più importanti d’Europa.Ho inoltre sfornato un po’ di chef che attualmente sono in giro per il mondo.
La formazione è importante: così come l’ho ricevuta io, allo stesso modo cerco di darla ai più giovani. Tra i miei allievi qualcuno ora fa lo chef in un importante ristornate a Dubai, un altro è in Nuova Zelanda, altri si stanno formando a Londra, da un amico e collega, anche per imparare bene l’inglese, senza il quale oggi non vivi dentro una brigata importante di cucina.
La mia filosofia è da sempre proiettata verso il futuro, e si fonda sulla passione, sulla cultura gastronomica, sull’aggiornamento costante
Cosa pensi dei talent di cucina che tanto successo ottengono in televisione?
I talent mi sembrano una cosa finta, che dà l’illusione che cucinare sia un’attività facile. Non è affatto così. La formazione professionale è altro: scuola alberghiera, sacrificio, gavetta, preparazione. Il lavoro in cucina è durissimo: si può lavorare anche 16 ore al giorno, in condizioni di forte pressione, anche psicologica, in ambienti ostici, a 50 gradi di temperatura. In cucina si ride, si scherza, si vive. E qualche volta si piange pure.
Pensi che la cucina sia un’arte?
Un pizzico di eccentricità, di “follia”, di ricerca, ci vuole sempre secondo me. Ognuno deve mettere un minimo di estro e invenzione personale nel creare un piatto ma anche nel comporlo. Il livello estetico è importante e influisce sull’esperienza della degustazione. Io fotografo tutti i miei piatti. Il disegno, i colori, pur nella loro semplicità, hanno un’importanza nel mio stile. Cerco sempre di aggiungere un tocco di originalità in quello che faccio.
Secondo te c’è un piatto tipico di Aprilia?
A parte il kiwi, non c’è un prodotto tipico che ci identifica. Introdotto circa trent’anni fa, il kiwi è ancora oggi una realtà molto importante per il territorio. Aggiungo l’uva: nel 1963 Aprilia è stata una delle prime città italiane ad avere la Doc sui vini, cosa che pochi sanno.L’unica cosa che potrebbe accomunarci e contribuire a creare un piatto “di Aprilia” è la diversa cultura apportata dagli immigranti durante la fondazione della città. Mio nonno ad esempio nel 1935 è arrivato qui in bicicletta, dal Veneto. Assieme a lui sono arrivati tanti altri: dal Friuli, dalle Marche, dall’Abruzzo. Bisognerebbe andare a cercare in queste radici ed elaborarne un sintesi. Il simbolo di Aprilia è in fondo l’immigrazione che ha costruito questa città dal null
a. Bisogna creare un piatto che sappia raccontare la nostra identità, facendo rivivere il sacrificio dei nostri nonni, che spesso dimentichiamo.
È quindi pensabile un “Piatto di Aprilia in Latium”?
Certo. Occorre, come ho detto, ritornare indietro nel tempo e mettere insieme ciò che appartiene a più culture: prendere la polenta dai veneti, il frico dai friulani, il coniglio in porchetta dai marchigiani e creare qualcosa che ricordi e richiami la storia di questo territorio.