Chef Massimo Viglietti – Taki

Lo Chef Massimo Viglietti, una stella Michelin, fuori dagli schemi e amante della musica e dei tatuaggi, con le sue creazioni introduce i commensali nel suo mondo, tra rock e musica classica, tra innovazione e tradizione. 

Ligure di nascita, dal ristorante di famiglia di Alassio alle migliori tavole francesi con Chef del calibro di Paul Bocuse, Louis Outhier, Roger Vergere fino ad approdare nel cuore della Capitale per portare una cucina sorprendente e raffinata. Taki Off è la nuova avventura del genio di Viglietti, un vero e proprio laboratorio, dove lo chef può sperimentare, cambiare, innovare, sbagliare, offrendo comunque un’esperienza unica. Questo dna al menù dinamismo e fa diventare i commensali parte del processo creativo. Le ricette mutano, un ingrediente lascia il posto ad un altro e la presentazione del piatto migliora di volta in volta. Un vero e proprio opificio gastronomico. 

“Lo Chef è la realizzazione di un talento, nella sua accezione più pura”

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…..“anarca consolidato, vestito dal vento”. Chi è lo chef ligure che ha portato nel cuore di Roma una cucina sorprendente e raffinata.

 Massimo VigliettiA 60 anni, Massimo Viglietti di vite ne ha vissute diverse. Dopo un’adolescenza trascorsa in Riviera, con poca voglia di lavorare al ristorante di famiglia “Palma” ad Alassio, va a conoscere le migliori tavole di Francia. Chef del calibro di Paul Bocuse, Louis Outhier, Roger Vergé gli fanno scoprire un universo che va oltre gli spaghetti con le vongole e la frittura mista, piatti che non lo hanno mai entusiasmato. Cambia pelle, scende in campo e inizia un crescendo di traguardi che culminano con la conquista delle due stelle Michelin. A 25 anni si sente intoccabile, pensa che il successo non finirà mai. Ma un’altra vita lo attende, quella di chi deve imparare a incassare lo schiaffo che fa più male, quando perde la seconda stella.
Post Covid il grande saggio Viglietti afferma:
 “Dobbiamo essere positivi, lavorare con le idee, semplificare e trovare nuove sinergie e formule di aggregazione alternative. Smettere di fare voli pindarici e di rincorrere barocchismi ormai non più necessari né richiesti.”

L’8 luglio 2020 segna una nuova straordinaria avventura firmata dal grande Chef , il Rock che contraddistingue la sua cucina si incontra con i ritmi orientali dando vita al “Taki Off”  progetto ambizioso e contro corrente “Viglietti Mood”!
Il Taki Off più che un ristorante è una vera e propria filosofia, una diversa cultura del cibo, una rivisitazione elegante e ricercata delle tradizioni giappo-italiane con elementi caratterizzanti: stimolazione di tutti i sensi, sapori della memoria, innovazione sofisticata.
Viglietti è Ambasciatore del Gusto Doc Italy per la Liguria, e nessuno più di lui interpreta la mission Doc Italy, ora in chiave internazionale con un gemellaggio Italia – Giappone che segnerà un’importante tappa.
Il Taki nel cuore di Roma, un luogo che è molto di più di un ristorante. Un microcosmo che riproduce con maestria e passione l’atmosfera di questa terra lontana. Dall’arredamento alla musica, dall’acqua alla luce, alle piante, dal cibo alle persone che lo animano.

Il Taki nato con l’intento di abbinare i sapori tradizionali giapponesi ad un’accurata selezione di vini italiani e internazionali aggiunge un fiore all’occhiello nel “Taki Off” dove il mitico chef  fonderà la cucina giapponese con quella gourmet italiana.
Dopo l’addio  all’Enoteca al Parlamento Achilli, in cui è stato protagonista dal 2014 al 2020 un nuovo incredibile percorso segnerà il meraviglioso Viaggio Attraverso le Eccellenze del RockChef
Ha una personalità intrigante, Massimo Viglietti, racchiusa in quell’involucro da brutto ma buono, fatto di tatuaggi, orecchino e cresta. “Sono nato ad Alassio – racconta -, lì il vento ti entra dentro e ti avvolge con il profumo del mare. Il mare e il vento ti girano continuamente intorno, ti vestono, influenzano il tuo carattere e ti fanno sentire una persona diversa”. Con un simile incipit non è ben chiaro dove si andrà a parare.

Al-Parlamento-piatto2E che sensazione ha provato alla perdita della seconda stella Michelin? “Avevo 25 anni, pensavo di spaccare le montagne a spallate”. E poi? “Il vento – risponde -, sempre lui, ti fa ragionare liberamente, ti rende un anarca consolidato”. Quindi? “Litigo con un pezzo grosso della Michelin e perdo la seconda stella. Fino ad allora credevo di essere intoccabile. Poi quando è arrivato lo schiaffo è stato come svegliarsi da un sogno. Eravamo alla fine degli anni Ottanta, la mia prima sconfitta, volevo risorgere. Ho seppellito il vecchio Massimo, arrogante, stronzo, presuntuoso e ho modificato il mio carattere”.
Dopo la “sepoltura”, Viglietti riparte con rinnovato vigore. “Ho iniziato a lavorare in maniera diversa – spiega -. Ho vissuto il periodo della grande cucina francese, poi quello della cucina spagnola, quindi del modernismo. Ho assistito alla caduta della cucina italiana, interpretata seguendo una logica troppo territoriale”. Fa pensare al replicante di Blade Runner, e alle cose che noi umani non possiamo neanche immaginare. Sarà dura riportarlo sulla terra. Come definisci la tua cucina? “Non so – risponde -. Riflette il mio carattere, negli anni è cambiato, ma una cosa è certa: dentro sono sempre stato rock”. Ok, chiariamo il concetto. “Essere rock significa vivere cavalcando una tigre immaginaria in qualsiasi situazione, significa non avere paura”.

Massimo Viglietti, il pirata punk sulla tolda dell'Enoteca Achilli

A ds: Ravioli di cacio e pepe, consommè di guanciale alla moka express

E perché questo look? “Ho i tatuaggi perché Alassio mi ricorda i pirati, ho l’orecchino perché il mio eroe è Corto Maltese, ho la cresta perché anni fa mio nipote se l’è fatta ed è stato preso a male parole sul lavoro. Ho deciso di tenerla per schierarmi con gli sconfitti, d’altra parte sono tifoso del Genoa. Ho sempre subito il fascino dei perdenti – aggiunge – anche perché se non ci fossero loro non ci sarebbero i vincitori”. Non fa una piega.
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La nuova vita inizia nel 2014 con il trasferimento a Roma, in seguito alla chiamata di un amico. “La sera del mio arrivo siamo venuti a cena all’Enoteca. Ho conosciuto i proprietari, il posto mi è piaciuto ed è iniziata l’avventura”. Nel 2016 è arrivata la stella Michelin, una svolta importante per lo storico locale romano. “Della mia precedente esperienza non ho portato nulla – precisa Viglietti – non ho mai avuto cavalli di battaglia. Tutti giorni ho in testa piatti nuovi, la cucina è concetto, idea, evoluzione, altrimenti tanto vale restare nella tradizione”. Ti pareva.

Massimo Viglietti, il pirata punk sulla tolda dell'Enoteca Achilli

A sin: La sala di Achilli al Parlamento

Una lunga e istruttiva conversazione con un cinquantasettenne che va in giro con la cresta e l’orecchino, ma anche grande chef ligure, già due stelle Michelin ad Alassio, « emigrato » a Roma nella storica Enoteca Achilli al Parlamento dove ha conquistato subito una stella. E’ arrivato in una città che lo ispira molto per la sua storia e la sua cultura, divertendosi a sparigliare la cucina tradizionale, creandone una non scontata, divertente e piacevolissima perché anticonvenzionale. Una cucina venata da creatività giocose – imperdibile il suo originalissimo dolce con gamberi crudi (una modulazione di esaltanti piaceri per le papille degustative), e idee originali supportate da tecniche mai approssimative e per questo stimolanti, con piatti innovativi ma comprensibili a tutti per gusto e sapore. Il risultato è un viaggio sensoriale che passa per il palato per arrivare alla memoria.
Ma chi è lo scopriamo parlando della sua vita.
Sicuramente « l’uomo » non è uno facile. Un pò scontrosetto, senza peli sulla lingua, entra a gamba tesa su aspetti della ristorazione che non condivide perché ne conosce tutto il buono e il cattivo…
Cosa mangerebbe Massimo Viglietti se non fosse uno chef ?
Massimo Viglietti è come il ciabattino con le scarpe rotte : mangia delle gran porcherie.
Che cosa pensi del target romano che si muove nella ristorazione gourmet ?
Roma è una città molto bella, è particolarissima, ma dal punto di vista gastonomico è ancorata alle tradizioniche diventano castranti e non ti fanno aprire alla diversità.
Arte gastronomica di Achilli al Parlamento (Photo Facebook-Enoteca al Parlamento)Ma i famosi piatti tradizionali romani possono essere contaminati : tu me ne hai fatto assaggiare una tua versione, come il brodo di piccione su pomodoro e basilico.
Si ripropongo alcuni piatti concettualmente legati alla tradizione e li interpreto in maniera anarchica, fuori dagli schemi, perché è giusto che sia così: siamo un ristorante gourmet che fa cucina creativa e non possiamo fare piatti in maniera classica, tradizionale. Però, sulle fondamenta classiche posso giocare con costruzioni completamente diverse, dalle cotture ai ripieni, al gioco dei sapori degli aromi. L’importante è che il cliente che viene non si aspetti la solita gricia, la solita amatriciana, la solita carbonara ma sia disposto a giocare.

Quando uno chef sente che ha successo ? quando crea qualcosa che piace a lui o quando riesce a farsi comprendere da chi ha una limitata cultura gastronomica ?
Quando avrò successo ti saprò dire che cosa è. Per me, posso dire che ho delle sensazioni belle quanto il cliente partecipa a quella che è la mia costruzione dei sapori, quando il cliente gioca con i miei accostamenti con i miei piatti e mi dice che ha passato una bella serata, quella per me è una giornata bella e di successo.

Tutte le cucine creative, quelle che hanno una ragione per essere creative, vanno pensate prima di essere realizzate.
Sì, perché fare una cucina creativa « à la minute » più che creativa è istintiva. La creatività è sì anche istinto, però meditato. L’istintività, invece, è una botta di adrenalina in quei minuti che hai a disposizione per fare un piatto.

EAP09ORCome il Piatto con le ostriche, che ostriche non sono, come direbbero i tuoi colleghi… come l’hai costruito ?
L’idea parte da due componenti per me importanti: il coniglio – la carne principe nel mio territorio – e le ostriche. Il gioco viene fatto sulla cottura del coniglio che utilizziamo in tutte le sue parti con diversi processi di cottura (mousse, saltinbocca, forno, brasato). Poi si unisce il tutto, si termina la cottura e si spolpa a mano. Per le ostriche si fa un fondo con molto scalogno, un pochino di aglio e tante erbette che danno un po’ di dolcezza all’ostrica, e si procede alla cottura.

Ma come ti viene in mente di fare questi assemblaggi e pensare che si possano integrare ?
Come mi viene in mente avere 57 anni e andare in giro con la cresta e l’orecchino ? Ti viene, è il tuo lavoro. Io ho avuto la fortuna di essere nato in un ristorante dove il mio papà mi ha fatto appassionare alla cucina che così è diventata una seconda pelle. Rispetto ad altri, la mia fortuna è che mi piace molto leggere, mi piace giocare con la fantasia e forse questo è il mio valore aggiunto.

Cosa ne pensi di tutta questa sovraesposizione della cucina diventata globale ?
Non è diventata globale, è che tutti vanno sempre dietro alle mode. Poi, purtroppo in Italia, ma non solo, c’è questa « malattia » degli chef che è la « michelinite ». Come arrivi a un piccolo obiettivo che accresce le tue capacità, le persone intorno ti fanno credere di essere più di quello che sei e allora ti scatta dentro d’idea che vuoi di più. Quando riesci a ottenerlo, ne vuoi ancora di più e così entri a far parte di un ingranaggio che ti fa dimenticare il tuo scopo principale, cioè fare le cose con passione, perché ci credi. questo non è positivo perché crea stress, ti rode dentro, ti mangia.

Ma, oggi purtroppo, se non hai visibilità non vai da nessuna parte. Come fai ad eliminarla o quantomento a ridurne il peso ?
E’ un discorso differente. Io parlo da persona che sta dietro ai fornelli, quindi non sto a guardare quello che può essere business, anche perché per fare business non ti serve una stella, ti serve il locale pieno. Anche se può sembrarlo, le due cose non vanno di pari passo : un locale stellato è difficilmente pieno perché i costi di gestione sono esagerati e i prezzi che devi applicare diventano esclusivi. Quindi, stiamo parlando di quella che è la tua crescita, il voler emergere. Invece, se vuoi fare i soldi, fai un’osteria, una trattoria o un ristorantino fatto bene che ti permette di fare le tue cose in maniera classica, senza lasciarti andare a voli pindarici.EAP08OR

i tuoi miti ?
Più che miti, persone che hanno accompagnato quello che oggi è il mio viaggio.
Gualtiero Marchesi, un amico, ci parliamo, ci siamo confrontati ed è sempre stato, a mio vedere, il più grande cuoco che l’Italia abbia mai avuto e, per un certo periodo, anche il migliore d’Europa. Poi mi piaceva molto uno chef delle mie parti, Roger Vergé, perché faceva un tipo di cucina che svecchiava certe grandeur francesi con il concetto della mediterraneità, del sud. Poi, ci sono due nomi che mi sono sempre piaciuti : Michel Bras, a Laguiole, il paese famoso per i coltelli, personaggio particolare, schivo e poco mediatico e Pierre Gagaire, geniale, appassionatissimo di jazz che mette la musica nei piatti.

Gli spagnoli ?
Gli spagnoli sono personaggi che mi attirano perché hanno rivoluzionato il concetto del freddo. Da quando è arrivata la cucina spagnola con Adria, lavorare sul congelato ha consentito di cambiare anche l’idea di sviluppo del menu. Abbiamo una cucina che è diventata più fredda dal punto di vista della temperatura e, in questa maniera, abbiamo una velocità di esecuzione con brigate che lavorano sul pezzo, con giochi di temperatura, di costruzione, fatti naturalmente a monte.

54c9f532fb5ab96de2000311Tutti fanno classifiche : guide, giornali, media. Facciamo noi una classifica tra le cucine a livello mondiale, giochiamo su questa cosa.
In qualsiasi parte di mondo, tranne forse negli Stati Uniti, la cucina migliore e la prima in classifica è quella della mamma.
Però le mamme facevano delle cose tremende. Il pomodoro lo facevano bollire 20 minuti.
Se ci pensi, quel pomodoro oggi te lo ricordi ancora anche se era rovinato, scassato, stracotto, perché la cucina della mamma è memoria. Le cucine non sono razionali sono memoria, non sono effimere ti devono rimanere dentro. Dopo la mamma, continuo con Italia, perché siamo italiani. La cucina italiana è divertente perché è la cucina di 21 regioni. Io, per esempio, amo il ligure e per me è la cucina migliore in Italia perché ti dà delle sensazioni di freschezza, di delicatezza, di fragranza che non hai in altre parti d’Italia.

Più che un’intervista, questa è una lezione di cucina e di cibo. A mio parere, tornando al gioco della classifica, Italia Francia camminano di pari passo, ma dimentichiamo la cucina cinese ?
Mentre la cucina italiana è stata la madre dei prodotti, la cucina cinese è stata quella che ha dato il là a tante situazioni ed è forse la più importante per quanto riguarda le cotture.

Va in controtendenza rispetto a quella giapponese, dove quasi tutto è crudo ?
Quella giapponese lavora su aspetti differenti. Diciamo che possiamo chiamare popolare la cucina cinese mentre quella giapponese possiamo chiamarla una cucina colta. Quella cinese è sempre stata una cucina di zone, di regioni (da noi sarebbero nazioni) però era una cucina povera. La cucina giapponese è sempre stata una cucina colta, ricca, borghese con sfumature che non hai in Cina. Però gli stessi giapponesi considerano antesignana la cucina cinese, perché tutte le cotture, gli sviluppi, nascono dalla Cina.

Mi spieghi perché il successo del Perù è dovuto proprio alle materie prime e non alla creatività sui fornelli ?
Il discorso del Perù e dell’America Latina in genere è un po’ particolare. 4_non_sono_gnocchi_alla_salsa_di_noci_e_acciughe_del_Mar_CantabricoUna volta c’era l’Argentina con le sue carni straordinarie, c’era il Brasile con i suoi particolari legumi. Adesso, c’è il Perù che nasce come una cucina quasi europea, soprattutto per le sue fragranze di agrumi, di pesci, di alimenti che ricordano un poco il meridione italiano. Però, a mio modo di vedere, sono cucine di moda ma non è che debbono insegnarci qualcosa. Poi, ci sono degli ottimi cuochi che sono andati a fare degli stage all’estero, tornano in Perù, diventano qualcuno e entrano a far parte della lobby dei Fifty Best Restaurants. Mah, va bene così.

Ma non faranno mai il pesto alla genovese ?
No, il pesto alla genovese è già difficile farlo a Genova perché cambia da famiglia a famiglia.

Il tuo lavoro ti rende felice ?

Mi sento felice per altre cose. Mi sento felice quando il Genoa vince una partita importante, mi sento felice quanto capita qualcosa di bello. Il mio lavoro mi dà soddisfazione anche se provoca stress e stanchezza, però non in maniera alienante.

bombaLo street food è dilagato in maniera enorme ?
Lo stree food è bello perché è una forma contaminante. Permette alle persone di mangiare delle idee, di mangiare quello che è un prodotto. Bisognerebbe che molti chef importanti creassero una sorta di street food gastronomico, perché è meglio degli show cooking. E’ più divertente avere un grande chef che interpreta un panino in maniera particolare

E l’estetica del piatto ?
L’estetica del piatto è funzionale a quella che è l’idea dello chef. Se uno chef preferisce che il piatto sia più bello che buono lavorerà sicuramente con maggiore impegno sull’aspetto visivo. Se invece uno chef lavorerà più sulla concettualità del piatto si dedicherà di più all’aspetto gustativo, curando meno l’estetica. A mio modo di vedere, l’estetica è quel di più che vuol far vedere che sei bravo, che sei capace, che gli occhi sono appagati. Però, alla fine, ricordiamoci sempre che è quello che mangi che fa la differenza.

Il tuo dolce, totalmente atipico, con i gamberi potrebbe essere uno starter.
Ma può anche essere la fine perché non è un dolce con una eccessiva grassezza. Il gioco è fatto sulle componenti intrinseche degli alimenti utilizzati. In questo caso, il crostaceo per la sua carne priva di sangue ha un sapore tendenzialmente dolce che posso amplificare ed esaltare.images
L’idea è stata quella di tornare indietro su quello che una volta era un dolce classico, prima della nouvelle cusine: qui la costruzione nasce sul gambero che lavori come se fosse una crepe: zucchero di canna, burro, succo e liquore d’arancio. Flambata finale e dopo un momento servi il gambero. Certo, gli devi fare il corredo : con due frolle, una un poco più acida lavorata con del lime e l’altra leggera al cioccolato. Poi si mette il gambero insieme a una leggera mousse lavorata con cioccolato bianco e basilico per dargli un po’ di freschezza.

Crei i tuoi piatti più straordinari con in testa le cuffie che diffondono musica ?

E’ vero, la musica è la colonna sonora della mia vita. Non c’è vita senza musica e in cucina è un valore aggiunto: anche suonare un clacson è musica. Tutto è musica

Indirizzo: Via Marianna Dionigi, 54-62, 00193 Roma RM

 orario apertura  20:00

Telefono: 06 320 1750
Prenotazioni: thefork.it
Ordina: deliveroo.it